Friday, July 11, 2025

LIGHT AND FIGHT Luce e lotta nelle opere di Zehra Dogan

 Dal 12 luglio al 30 settembre 2025 la Fondazione MACC – Museo d’Arte Contemporanea di Calasetta presenta Light and fight – Luce e lotta nelle opere di Zehra Doğan, prima mostra personale in un’istituzione sarda dell’artista, giornalista e attivista curda, una delle voci più potenti dell’arte contemporanea internazionale. Con il suo lavoro, Doğan ha trasformato la prigione in laboratorio di memoria, la clandestinità in spazio di espressione, la vulnerabilità in linguaggio politico e poetico.

La mostra – presentata da Efisio Carbone, Direttore Onorario della Fondazione MACC, e curata dalla Vice Direttrice Valentina Lixi – nasce dalla sinergia con la Prometeo Gallery di Milano, da sempre impegnata a dare voce agli sguardi radicali e necessari del nostro tempo, ed è realizzata grazie al sostegno della Fondazione di Sardegna.

 

Light and fight è il racconto di una resistenza che si esprime attraverso immagini, parole e segni che non arretrano davanti alla violenza e alla repressione. Calasetta accoglie la voce inconfondibile di Doğan in un atto di alleanza tra un’isola di confine, sospesa tra Africa, Mediterraneo ed Europa, e una donna che da sempre vive ai margini dei confini imposti: geografici, politici, identitari, di genere.

Condannata per aver condiviso sui social disegni che documentavano la devastazione di Nusaybin durante il coprifuoco e le operazioni militari nel distretto di Mardin, Zehra Doğan ha saputo trasformare la privazione in potenza creativa e la censura in strumento di testimonianza. La reclusione e la clandestinità non hanno mai spento la sua voce: al contrario, sono diventate il luogo e il tempo in cui l’urgenza espressiva si è fatta ancora più necessaria, più radicale.

 

In mostra, dipinti, installazioni, fotografie e video raccontano questa forza, opere nate dall’uso sovversivo e poetico di materiali improvvisati e di fortuna: lenzuola, asciugamani, federe, carta di giornale, caffè, tè, buccia di melograno, cenere di sigaretta, sangue mestruale, capelli, piume. Ogni frammento, ogni traccia raccolta tra le mura della cella o nel cortile del carcere, veniva trasformato in linguaggio: un linguaggio capace di sfidare il silenzio imposto, di restituire dignità al vissuto delle detenute, di tramandare un racconto che altrimenti sarebbe stato cancellato.

Questi elementi, spesso raccolti grazie alla complicità e alla solidarietà delle compagne di prigionia, diventavano strumenti di una resistenza collettiva, veicolo di un messaggio che si faceva comunitario pur nella costrizione individuale. Le opere, create nella clandestinità di un gesto nascosto, venivano celate sotto i letti, tra le pieghe dei vestiti, nei panni sporchi destinati all’esterno, per sfuggire ai controlli e raggiungere il mondo libero. Ognuna di esse racchiude la memoria di un atto coraggioso e solidale, e testimonia come l’arte possa diventare strumento di lotta e memoria anche nei luoghi più bui della storia.

Presentare il lavoro di Zehra Doğan significa avvicinarsi a un percorso segnato da esperienze personali che, attraverso la sua voce, assumono un valore collettivo e universale. In questo dialogo tra biografia e storia, tra gesto individuale e responsabilità condivisa, l’opera di Doğan invita a cogliere le connessioni tra luoghi, esperienze e istanze comuni.













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