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Friday, February 28, 2025

PHOTO VOGUE FESTIVAL

IL PHOTOVOGUE FESTIVAL TORNA A BASE MILANO
 DAL 6 AL 9 MARZO 2025
 LA NONA EDIZIONE È DEDICATA A
 “THE TREE OF LIFE: A LOVE LETTER TO NATURE” 

INGRESSO GRATUITO

Milano,  Il PhotoVogue Festival, il primo festival al mondo dedicato alla fotografia di moda consapevole, torna a BASE Milano dal 6 al 9 marzo. La nona edizione, intitolata "The Tree of Life: A Love Letter to Nature", celebra la resilienza, l'interconnessione e la bellezza del mondo naturale, affrontando al tempo stesso le pressanti sfide globali legate all'ambiente e alla sostenibilità.

 

L’evento, gratuito e aperto al pubblico, proporrà quattro giorni ricchi di mostre, panel, presentazioni e digital showcases, trasformando BASE Milano in una piattaforma inclusiva per il dialogo e la riflessione. I visitatori avranno l'opportunità di confrontarsi con una comunità globale di artisti, creativi, esperti e rappresentanti di organizzazioni impegnate nella tutela ambientale e nella promozione della sostenibilità.

 

«L’arte ha il potere di ispirare cambiamenti significativi» afferma Alessia Glaviano, Head of Global PhotoVogue e direttrice del Festival. «Questa edizione del PhotoVogue Festival mira a promuovere una comprensione più profonda della nostra connessione con tutti gli esseri viventi e ad innescare un’azione collettiva per proteggere la nostra casa comune».

 

Dal 2016, il PhotoVogue Festival esplora l'influenza pervasiva delle immagini nel plasmare la nostra comprensione del mondo, affrontando temi eticamente ed esteticamente rilevanti. Tra i suoi focus principali figurano il femminile nello sguardo fotografico, la rappresentazione, la mascolinità, l’inclusività e la riscrittura della storia. Negli anni, il festival ha anticipato argomenti di grande attualità, come l’evoluzione dell'intelligenza artificiale (AI) e le sue implicazioni etiche nella creazione di immagini.

 

Il PhotoVogue Festival è co-curato da Caterina De Biasio, Visual Editor PhotoVogue, e Daniel Rodríguez Gordillo, Content Operations e Strategy Manager Condé Nast. L'evento è organizzato con il patrocinio del Comune di Milano.


Wednesday, December 11, 2024

DOROTHEA LANGE

 

Wednesday, September 11, 2024

MARTIN PARR - SHORT & SWEET

Dal 12 settembre 2024 al 6 gennaio 2025
Museo Civico Archeologico
Bologna

Oltre 60 fotografie selezionate dall’autore insieme all’installazione 
Common Sense composta da 250 scatti e una intervista inedita, per ripercorrere la carriera 
di uno dei più famosi fotografi documentaristi contemporanei.





Tuesday, May 23, 2023

VISIONAREA- IEROGAMIA-La Guarigione attraverso il Mito e il Rito

Si inaugura, martedì 30 maggio 2023, il nuovo appuntamento della stagione di VISIONAREA Art Space, progetto che, per il settimo anno consecutivo apre con l’artista ANGELO CRICCHI con la mostra dal titolo IEROGAMIA - La Guarigione attraverso il Rito e il Mito, a cura di Gianluca Marziani. 
Prima Sala In esclusiva per VISIONAREA un progetto fotografico che mette assieme diversi lavori inediti con opere antologiche che qui trovano un rilucente tracciato espositivo. “Ildegarda con ancelle” si staglia sul fondo della parete centrale, un bosco oscuro che calamita la prospettiva nei riti della guarigione ancestrale. Ai suoi lati, ricreando stereofonie visive di un’ideale cerchiatura labirintica, spuntano due allegorie: “Ildegarda bambina” e “Ildegarda adulta”, doppio close-up che scivola fuori dal bosco per isolare l’irradiazione elettrica di una donna dalla modernità atomizzante. Sui due lati lunghi si trovano due dittici e una sequenza in tre scatti: da una parte le ritualità ierogamiche tra le selve del bosco, messe in relazione “pericolosa” con la figura maschile del mandylion; dall’altra un labirinto sotto un sole mediterraneo, tra figure archetipiche che esprimono l’essenza fantasmagorica del clima umano nel tempo sospeso degli immaginari. La ierogamia o hieròs gámos (dal greco ιερογαμία, «matrimonio sacro») di cui è sinonimo teogamia (dal greco θεογαμία, «matrimonio divino») indica un rito sessuale in cui due o più partecipanti umani rappresentano la sacra unione o sizigia (congiunzione) tra un dio e una dea. mandylion (dal greco μανδύλιον, “panno, fazzoletto”) o immagine di Edessa era un telo, venerato dalle comunità cristiane orientali, sul quale era raffigurato il volto di Gesù. Il mandylion era conservato a Edessa di Mesopotamia, nel X secolo venne traslato a Costantinopoli, finché nel 1204 se ne persero le tracce. Alcuni studiosi ritengono che esso fosse lo stesso telo noto oggi come Sindone di Torino. Ildegarda di Bingen è stata una monaca benedettina tedesca con spiccate doti mistiche e letterarie. Venerata come santa dalla Chiesa Cattolica, nel 2012 è stata dichiarata Dottore della Chiesa da Papa Benedetto XVI. Nella sua complessa vita dimostrò numerosi talenti, spiccando come erborista, naturalista, gemmologa, cosmologa… 
Seconda Sala A dominare la scena un vero giardino edenico da calpestare, sorta di portale installativo che attiva il rito sensoriale e porta l’orecchio verso il video “The secret life of plants”. Alle pareti altre immagini fotografiche che completano la vertigine ierogamica della mostra, un intrico districabile che officia il nostro salto pagano nella catarsi botanica dei corpi liberati. “Santa Cecilia” e “Santa Veronica” chiudono la seconda sala con un volo nel bianco, quasi a farci respirare pura sensualità metafisica dopo il dosaggio di clorofilla e mitologie attorno ai rituali agonistici di Ildegarda… Il sottotitolo della mostra dispiega le sue “cure” nel gioco di apparenze naturali e testimonianze sensoriali. Gli effetti non sono farmacologici, ovvio, ma rivelatori di connessioni plausibili, passaggi segreti, salti specisti. 
Angelo Cricchi ci proietta nel rito fotografico che stabilizza l’istante mentre mineralizza il dinamismo biologico dei contenuti: ed è proprio la fotografia a disegnare il passaggio segreto del testo letterario, la sua funzione visiva di unguento estetico che cura la conoscenza mentre indica la reminiscenza. IEROGAMIA secondo Angelo Cricchi 
Una mostra ideata come un circuito narrativo lungo le pareti e i pavimenti delle due sale. Un rituale di passaggi visivi e tematici in cui il corpo registra le trasformazioni metamorfiche degli atti catartici, diventando geografia alchemica di una navigazione sacrale, intrisa di mitologie e tracce esoteriche, trasformando quel bianco della galleria in un bosco, un labirinto, un orizzonte nascosto, un fondale metafisico, un mistero… 
Scrive Anna Simone: “Le ierogamie che Angelo Cricchi presenta in questa mostra - termine attraverso cui si indicano i riti nuziali tra due divinità, così come tra il divino e l’umano - materializzandosi in miti e riti curativi che attraversano anche il simbolico del maschile e del femminile, travalicano le narrazioni identitarie delle religioni monoteiste sino a restituire un pluralismo di interregni tra corpo e spirito, tra esperienza sensuale, trascendenza e immanenza, tra natura e cultura…” Le narrazioni ierogamiche vanno dalla mitologia greca all’origine della figura di Cristo, dai rituali antropologici connaturati all’umida madre terra sino al simbolismo cinese e all’innesto tra umanità e divinità animale. Questi codici narrativi diventano, lungo la mostra, vere e proprie “Imago” che materializzano il fatidico inconscio, quel teatro innato e nascosto in cui gli umani percepiscono tanto i fatti della vita quanto le personali proiezioni fantasmatiche e archetipiche. In una imago si trova tutto: il sogno, il concetto, il riflesso, l’allegoria, la vita stessa. Oltrepassando i canoni della mera rappresentazione effimera, le “imago” di Cricchi diventano esse stesse curative perché intrise di sentimenti arcaici e poetiche contemporanee. Ciò che guardiamo con la retina si trasforma, dentro un ideale poetico, nel modo plausibile di guarire il “malessere” attraverso un concatenarsi ciclico di riti e miti. 
La Guarigione attraverso il Rito e il Mito Il sottotitolo della mostra dispiega le sue “cure” nel gioco di apparenze naturali e testimonianze sensoriali. Gli effetti non sono farmacologici, ovvio, ma rivelatori di connessioni plausibili, passaggi segreti, salti specisti. Angelo Cricchi ci proietta nel rito fotografico che stabilizza l’istante mentre mineralizza il dinamismo biologico dei contenuti: ed è proprio la fotografia a disegnare il passaggio segreto del testo letterario, la sua funzione visiva di unguento estetico che cura la conoscenza mentre indica la reminiscenza. 
Scrive Gianluca Marziani: Angelo Cricchi ha gradualmente plasmato la sua lunga relazione col corpo umano in un habitat fotografico. L’esperienza nel sistema Moda gli ha dato strumenti d’ingaggio per definire l’azione sublimante del corpo nello spazio funzionale del contesto; al contempo si è formata nella sua retina una vita genomica parallela, un habitat dai fondamenti letterari e filosofici, attinenti alle rivelazioni che le azioni iconografiche determinano. Siamo di fronte ad un artista che ha costruito il suo environment privilegiato, definendo un giardino delle proprie meraviglie, un profumato eden che rivela bellezza ma nasconde veleni pungenti e frutti rossi della discordia primordiale… 
 Epilogo in forma di VASO 
SI chiude questo viaggio con l’oggetto più arcaico e universale tra i manufatti umani: il vaso in ceramica smaltata, recipiente dal valore pratico e dalle storie infinitamente complesse. Le forme esposte sono diverse e tracciano sensualità morbide in cui l’eros della tattilità accarezza la figura femminile che si ripete lungo i margini, quasi fosse parente cronofotografica di Étienne-Jules Marey. Quella sintesi di erotismo alla Isadora Duncan, quei veli bianchi o neri che diventano ali traslucenti di una danza terrestre, quello scivolamento del corpo nella pasta neutra del vaso, tutti riti agonistici e fotografici che attirano i nostri respiri ottici mentre sembrano sussurrarci una cosa: tutto il mistero di questa mostra potrebbe uscire dai vasi irradianti o rientrarci dentro fino alla prossima Pandora. Attorno ai volumi sinuosi dei vasi chiudiamo questo cammino nel bosco elettrico di Angelo Cricchi. Tra le piante appaiono corpi di sante, martiri, eroine e donne che hanno concesso l’eternità alla propria storia su questo pianeta. Sono figure archetipiche, guide spirituali che si muovono con erotismi sinuosi tra gli edifici verticali - alberi - che la natura produce. Tutte loro compiono gesti minimi ed essenziali, come se la vita “agonistica” le avesse condotte nel rito della guarigione, qui nel silenzio di un bosco che accoglie i loro corpi e la loro energia invisibile. Donne che sono maschile e femminile dentro ogni singola postura, donne che ci guidano con il loro sguardo di fertilità seminali, donne che tessono fili sentimentali tra i rami di quel bosco familiare.






Wednesday, December 8, 2021

Giuseppe Loy. Una certa Italia Fotografie 1959-1981

Roma - Le Gallerie Nazionali di Arte Antica ospitano dall’8 dicembre 2021 al 27 febbraio 2022 la mostra Giuseppe Loy. Una certa Italia. Fotografie 1959-1981, a cura di Chiara Agradi e Angelo Loy, la prima retrospettiva a quarant'anni dalla scomparsa. 
 Realizzata dall’archivio fotografico Giuseppe Loy, con la Media Partnership di Rai Scuola, a seguito della digitalizzazione e della sistematizzazione di 1565 rullini in bianco e nero, 338 rullini a colori, 1800 stampe e documenti, l’esposizione ha l’intento di dare una panoramica di una vita dedicata alla macchina fotografica. La mostra raccoglie una selezione di 135 stampe originali in bianco e nero, documenti d’archivio, poesie, epigrammi, scatti familiari e un video che ripercorre l’amicizia tra Giuseppe Loy e gli artisti Alberto Burri, Afro e Lucio Fontana. 
 “…Ecco allora che mi si rivela il motivo di tutto quell’ordine e organizzazione, di tutte quelle stampe, appunti, indicazioni”, afferma Il co-curatore, Angelo Loy, che prosegue: “aver permesso a qualcuno, e in questo caso a un figlio, di riprendere le fila del suo discorso, e di trovare postuma la giusta collocazione, il riconoscimento sperato e mai richiesto”. 
Alla stregua di altre grandi mostre dedicate ai fotografi italiani, l’obiettivo finale è quello di rivalutare sul panorama internazionale la fotografia italiana del secondo Novecento, riordinando quegli “appunti visivi” con cui Giuseppe Loy desiderava imprimere una traccia duratura della società degli anni in cui ha vissuto, senza cedere al fascino della spettacolarizzazione.
 In mostra nella Sala delle Colonne e nelle Cucine Novecentesche di Palazzo Barberini, gli scatti di Loy immortalano il suo impegno politico e il suo sguardo sui costumi di un'Italia in profondo cambiamento, alternati a immagini più intime, frammenti della sua vita privata, testimonianze preziose delle amicizie di Giuseppe Loy e i protagonisti del mondo dell’arte in un periodo storico in cui “il tempo, la politica e gli eventi stavano precipitando l’intero mondo verso una coscienza nuova, profonda e a tratti ribelle” scrive in catalogo Luca Massimo Barbero. “Ogni famiglia ha la propria storia da raccontare” dichiara la curatrice Chiara Agradi “Quella dei Loy è la storia di una famiglia d’intellettuali dai destini illustri che malgrado la notorietà ha mantenuto una garbata riservatezza, lontana dagli eccessi mediatici. E quello di Giuseppe Loy, in particolare, è il racconto di un amateur che ha fotografato tutta la vita, lasciando un archivio di migliaia di negativi e stampe d’epoca tutto da scoprire”. 
 Le fotografie presentano alcune tematiche ricorrenti, tra cui il ritratto dell’italianità, che emerge nei piccoli gesti della vita quotidiana, la riflessione per immagini sul paesaggio italiano, che cambia tra la fine degli anni Cinquanta e i primissimi anni Ottanta, gli scatti rubati sulle spiagge, con corpi distesi al sole immortalati da tagli fotografici particolari e dalla seducente ironia che pervade il lavoro dell’autore, fino ad arrivare alla toccante raccolta di fotografie in cui la vera protagonista è la sincera amicizia che legò Giuseppe Loy ad artisti del calibro di Alberto Burri, Afro e Lucio Fontana.















Wednesday, November 17, 2021

PHOTO VOGUE FESTIVAL 2021: Annabel Elgar. La sicurezza degli oggetti

Milano - In occasione del Photo Vogue Festival 2021, in programma a Milano dal 16 al 19 novembre, Nonostante Marras, in collaborazione con Metronom, presenta la mostra Annabel Elgar. La sicurezza degli oggetti, a cura di Marcella Manni, aperta al pubblico dal 18 novembre 2021 al 10 gennaio 2022. All’inaugurazione sarà presente l’artista. 
 La mostra personale di Annabel Elgar si colloca al confine tra realtà e finzione, come il suo lavoro: l’artista parte da uno spazio completamente vuoto, che via via va popolandosi di oggetti, trovati o realizzati dall’artista, che abitano il luogo e interagiscono tra loro in modi spesso imprevisti. Le venticinque opere originano da questa composizione un meticoloso e preciso percorso di ricerca che impiega spesso mesi per essere compiuto. Gli oggetti che Elgar realizza, vere e proprie sculture, o gli elementi installativi che costituiscono le scene sono elementi quotidiani di vite immaginate, in cui i protagonisti non compaiono se non nelle tracce che lasciano. Luoghi abbandonati, anonimi che possono essere trasformati in qualcos’altro. Un ‘bricolage allegorico’ che dà forma all’immaginazione, spesso disturbata, di personaggi altrettanto immaginari, tra mito e leggenda: il culto dei russi che si rintanavano nelle grotte perché convinti dell’imminente Armageddon o coloro che vedono espressioni del satanismo nei codici a barre dei supermercati. I protagonisti ci sono ma sembrano voler essere altrove, in un tempo sospeso tra il presente e un passato che sa di fiaba ma anche della cronaca nera dei quotidiani, con dettagli sempre avvolti dal mistero. Sono appunto gli oggetti il fulcro della pratica di Elgar, sia che si formalizzi in fotografie, ricami o installazioni: gli oggetti scolpiti, fotografati, ricamati su tele o assemblati, hanno in comune un approccio alla ricerca che sta a metà tra l’ossessività del trovarobe e la perizia dell’artigiano. Un castello di pane, un unicorno intagliato nel sapone, portauova schierati a battaglione, domestici banchi da lavoro… 
Le opere di Annabel Elgar sono frutto di fantasie che l’artista compie su questi stessi oggetti, fantasie che consentono di passare dalla monotonia della vita quotidiana degli immaginati protagonisti ad una dimensione diversa, ulteriore, come se con il lavorare su questi quasi piccoli trofei, si possa compiere una sorta di evasione da esistenze monotone e socialmente disturbanti. 
 Lo spazio di NonostanteMarras si popola dei personaggi e delle storie che Elgar costruisce e racconta, in una sorta di infinta e autogenerante possibilità narrativa, storie enigmatiche che sembrano opporsi, volutamente con garbo e ironia, a ogni tentativo di soluzione.








Monday, November 8, 2021

Luigi Ghirri. Les années Marazzi 1975 – 1985

L’Istituto Italiano di Cultura di Parigi presenta per la prima volta in Francia un nucleo inedito di fotografie di Ghirri conservato per decenni negli archivi dell’azienda di ceramiche emiliana Marazzi Alinterno del percorso “A Paris pendant Paris Photo”, di Paris Photo 2021, dal 10 novembre al 21 dicembre 2021, l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi presenta Luigi Ghirri. Les années Marazzi 1975 – 1985, a cura di Ilaria Campioli. La mostra – secondo appuntamento di un progetto espositivo che ha la sua prima tappa al Palazzo Ducale di Sassuolo (Modena, Italia) dal 16 settembre al 31 ottobre – espone per la prima volta in Francia un nucleo di fotografie quasi completamente inedite realizzate da Luigi Ghirri tra gli anni Settanta e Ottanta per l’azienda di ceramiche Marazzi, celebrando a livello internazionale uno dei più importanti maestri della fotografia italiana.







Tuesday, August 31, 2021

IRVING PENN - CARDY GALLERY

 Milano- Quattro anni fa  ho potuto assistere alla mostra/omaggio al maestro della fotografia Irving Penn per il centenario della sua nascita (1917-2009) che si è tenuta al Grand Palais di Parigi e che ho ampiamente riportato in un mio articolo (http://www.scostumista.com/2017/09/irving-penn-exhibition-grand-palais.html ). 

Per chi non avesse avuto la possibilità di ammirare da vicino le opere di Penn, dal 9 settembre al 22 dicembre la Cardi Gallery di Milano gli dedica una mostra curata in collaborazione con The Irving Penn Foundation, dove si può  incontrare la complessità dell’opera dell’artista americano.    La mostra si sviluppa su due piani della galleria, abbracciando non solo la fotografia di moda per cui Penn è conosciutissimo, ma sottolineando il legame speciale dell’artista con l’Italia, capitolo a cui è interamente dedicato il primo piano. L’esposizione, che comprende opere prodotte dall’artista tra gli anni Quaranta e gli anni Novanta, percorre momenti salienti della quasi totalità della carriera artistica di Penn. Considerato uno dei maggiori fotografi del Novecento, Irving Penn  è conosciuto per il suo radicale contributo alla modernizzazione del mezzo fotografico, grazie alla creazione di un canone concretizzatosi attraverso le sue opere sia commerciali che personali. Figlio di migranti ebrei russi, Penn emerse a New York in un’epoca turbolenta dal punto di vista sociopolitico. In seguito a studi di pittura, verso la fine degli anni Trenta iniziò a lavorare come artista per la rivista di moda Harper’s Bazaar, all’epoca guidata proprio dal suo ex insegnante, il leggendario Alexey Brodovitch, per poi passare ad American Vogue negli anni Quaranta. Incoraggiato da Alexander Liberman, direttore editoriale di Vogue, Penn focalizzò la propria attenzione professionale sulla fotografia, coltivando al contempo una pratica artistica personale. Nel corso dei successivi sessant’anni, scattò oltre 150 copertine per Vogue, producendo editoriali all’avanguardia, celebrati per la loro semplicità formale e l’uso della luce. Il contributo artistico di Penn formò per Vogue un’eredità senza precedenti; la direttrice Anna Wintour descrive come egli “cambiò radicalmente il modo in cui la gente vedeva il mondo, e la nostra percezione del bello”. Rompendo con le convenzioni, Penn utilizzava la fotografia come un artista, espandendo il potenziale creativo del mezzo in un’era in cui l’immagine fotografica era vista principalmente come mezzo di comunicazione. 

IRVING PENN riunisce lavori chiave che situano l’opera di Penn nel contesto di vari soggetti artistici, sociali e politici. In mostra sono presenti alcuni dei suoi contenuti più iconici, scattati sia in studio che in esterna. Sono scatti che spaziano dalle immagini accattivanti delle star a impressioni del mondo naturale, fino ai rifiuti abbandonati in strada, e a nature morte surreali, a testimonianza della sua costante ricerca di autenticità. L’esposizione introduce l’ispirazione dell’artista, derivata da rifiuti e oggetti quotidiani, e la sua capacità di portare alla luce la bellezza di ambienti caratterizzati da un’estetica calma e minimalista, producendo un linguaggio visivo distillato, caratterizzato da una eleganza disarmante.

Inving Penn, Black and White Vogue Cover (Jean Patchett), New York, 1950 © Condé Nast


Thursday, June 24, 2021

IN ZIR I MIEI VIAGGI VERSO GERUSALEMME - FOTO DI LIDIA BAGNARA

Milano - Da giovedì 24 giugno 2021, apre al pubblico negli spazi di Nonostante Marras a Milano la mostra In Zir - I miei viaggi verso Gerusalemme - Foto di Lidia Bagnara a cura di Francesca Alfano Miglietti. Fino al 19 settembre 2021 sarà esposta al pubblico una selezione di un centinaio di scatti che raccontano i viaggi di Lidia Bagnara tra il 1991 e il 2021. Un orizzonte luminoso e colorato di frammenti di luoghi, persone, distanze e prossimità, che unisce l'India la Cappadocia, il Libano, la Siria, la Giordania, Israele, l'Egitto, l'Italia. La fotografia di Bagnara non conosce filtri né inquadrature studiate o ritocchi. Le foto di Lidia Bagnara sono istintive e spontanee, uno sguardo imperniato su un attimo di luce, ma proprio questa immediatezza le rende evanescenti, oniriche, a metà tra fotografia e pittura. L’immagine ferma diventa una narrazione di stati d’animo, sensazioni, odori, percezioni tattili derivanti dalla polvere, dal deserto, dalla pietra, dalla sabbia, dal mare, dal cielo. Gli scatti si fondono con la sua storia personale: il titolo della mostra è già di per sé una suggestione che deriva dall’amore sconfinato della fotografa per il viaggio. Infatti In Zir in dialetto romagnolo significa girare, girovagare, senza meta. E in questi vent’anni ha continuato a muoversi e a riportare nelle immagini tutti i luoghi che ha sentito profondamente sino ad arrivare, appunto, a Gerusalemme. Come scrive Francesca Alfano Miglietti: “Le ‘riprese’ di Lidia sembrano avere origine dal suo mondo poetico, e sembrano volersi caratterizzare come una forma di lotta per la sopravvivenza, sembrano voler trasformare la stessa esistenza in una sorta di liquida placenta attraverso la quale poter osservare, parlare, sentire… un pensiero, insieme, selvaggio e raffinato che tiene quasi la storia a distanza. Un pensiero che occorre ‘pensare’ d'un colpo o non pensarlo per nulla”.










Thursday, October 15, 2020

FRANCESCO BOSSO - PRIMITIVE ELEMENTS

Dal 15 ottobre al 5 novembre 2020, il Museo Pignatelli di Napoli ospita la mostra personale Primitive Elements di Francesco Bosso, fotografo di paesaggio profondamente sensibile ai temi del riscaldamento globale e della tutela ambientale, argomenti molto dibattuti in questo momento storico.
Primitive Elements a cura di Filippo Maggia, che arriva a Napoli dopo il successo alla Galleria delle Stelline di Milano, raccoglie oltre 15 anni di lavoro e attraverso oltre 40 fotografie in bianco e nero, ci racconta luoghi incontaminati, puri, primitivi e terribilmente fragili del nostro pianeta. La mostra propone un percorso tra scenari e paesaggi naturali, ritratti di una terra ideale, luoghi incontaminati ormai in via di sparizione, che non siamo in grado di lasciare in eredità alle generazioni future. Le fotografie di Francesco Bosso vogliono indurre il pubblico alla consapevolezza, urgente e necessaria, di quanto sia necessario tutelare l’ambiente, e promuovere un cambiamento culturale soprattutto nell'uso responsabile delle risorse naturali, in particolare dell’acqua, elemento centrale su cui l’autore ha lavorato intensamente. Particolarmente significativi infatti, sono gli scatti realizzati dal fotografo in ambiente Artico, dove il riscaldamento globale sta facendo sentire i suoi effetti in modo drammatico, a testimonianza dello stato di emergenza a cui siamo giunti. Francesco Bosso fotografo di paesaggio, formatosi alla scuola americana, lavora esclusivamente in bianco e nero, scattando su pellicola di grande formato con banco ottico e stampando personalmente le opere in camera oscura, su carta baritata alla gelatina d'argento.
Black Ice, 2012 Iceland

Cliff Sentinell, 2012 Iceland

Diamond #4, 2015 Greenland
Diamond #10, 2015 Greenland


Fluid Columns, 2013 Iceland

Golden Arch, 2015 Spain

Ice Island,  2012 Iceland

Morning Calm, 2018 Portugal

Over the Cliff, 2018 Portugal

Permafrost, 2013 Iceland

Water Wall, 2012 Iceland


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