Kunsthaus in partnership con l’organizzazione internazionale no-profit EMMA for Peace e la Banco Factory, presenta a Palazzo Velli, nel cuore di Trastevere, la mostra collettiva Mys-sing Things, a cura di Clio Bulgarella e Ludovica Palmieri.Gli artisti: Dagmar Buehler; Francesco Ciavaglioli; Edoardo Civitella; Simon d'Exéa; Giuseppe Guariniello, abitano ciascuno un proprio spazio, per definire un percorso che dal primo al secondo livello della location, si articola tra il giorno e la notte, la luce e il buio. La "perdita" rappresenta l'elemento centrale nella mostra, intesa in un'accezione positiva di dimensione creativa, in quanto fattore generatore delle opere esposte e nello stesso tempo impulso per il visitatore ad osservare la realtà circostante con maggiore attenzione e spirito critico.
Palazzo Velli: Piazza Sant'Egidio 10, in Trastevere
Friday, October 31, 2014
Thursday, October 30, 2014
Wednesday, October 29, 2014
YOU'RE GONNA KNOW ME BY MY LITTLE RED BOOTS
You're gonna know me by my Little Red Boots, You may not know my name, 'Cuz I have not made fame, But
You're gonna know me by my Little Red Boots, Riding into town with my guitar on my back
Mothers all around will be having heart attacks. Too lost to be found, just a train off of it's tracks
You're gonna know me by my Little Red Boots, Music
You're gonna know me by my Ruby Red Lips, You may not know my face but I leave a lipstick trace
You're gonna know me by my Ruby Red Lips, Downtown at the Bar, I'll be rockin' with the band
Wonderin' if Fate is gonna deal a gamblin' man
What a place I've been, you better have a winnin' hand
You're gonna know me by my ruby red lips Came to sing this song
Now I'll be on my way
Better move along
But I'll be back again someday
Someday
Someday...Hey!
OH-You're gonna know me by my little red boots You're gonna know me by my little red boots Strangers just the same oh
You don't need to know my name
You're gonna know me by my little red. - (Lindi Ortega "Little red boots")
80's red leather boots, silk blouse by Zara, silk short by Twin-set Simona Barbieri
Stivali pelle rossa anni '80, camicia seta Zara, short seta Twin-set Simona Barbieri
RED BOOTS 2014-15
Related Article:http://www.scostumista.com/2014/10/80s-red-boots.html
80's red leather boots, silk blouse by Zara, silk short by Twin-set Simona Barbieri
Stivali pelle rossa anni '80, camicia seta Zara, short seta Twin-set Simona Barbieri
RED BOOTS 2014-15
Emilio Pucci |
Prada |
Valentino |
Valentino |
Derek Lam |
Anna Sui |
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Tuesday, October 28, 2014
80's RED BOOTS
Boots are of ancient origin: they were worn by the Ancient Greeks, who called them embas, embates or edromis depending on the material used and the function the boots had. In the Roman period, they went by the name of ocreae and were worn only by hunters, or by farmers in cold weather. In the Middle Ages and up to the beginning of the sixteenth century, boots reinforced with mesh and iron plates were in use. Then in the Renaissance, it became fashionable to create different types of boot, long and tight-fitting around the leg or short, wide at the top and embellished with large flaps. In general, these boots did not have a heel and in bad weather were worn with another shoe. From the seventeenth century, the boot became a practical form of footwear: military, hunting and horse riding boots were mainly worn by men, unlike ankle boots, which were worn by women.
CLOSET CASTLE di Annapaola Brancia d'Apricena
Renewed findings from the coffer of a castle
CLOSET CASTLE di Annapaola Brancia d'Apricena
Renewed findings from the coffer of a castle
Stivali pelle rossa anni '80 80's red leather boots |
Gia Carangi |
Janice Dickinson |
Roger Vivier |
Jerry Hall |
Monday, October 27, 2014
ARTEMISIA GENTILESCHI
I want to share with the readers of scostumista some pictures of my latest work in theater.
Artemisia Gentileschi
directed by Mirko Di Martino
with Titti Nuzzolese and Antonio D'Avino
costume designer:Annapaola Brancia d'Apricena
produced by Teatro dell'Osso
photo:Marco D'Alessandro Photo49
Nel diciassettesimo secolo c'era un detto che circolava sulla bocca dei numerosi viaggiatori stranieri che visitavano Napoli: secondo costoro, la città era “un Paradiso abitato da diavoli”. I turisti stranieri erano affascinati dalla bellezza di Napoli e, allo stesso tempo, atterriti dalla violenza della vita che si conduceva in quella che, all'epoca, era la seconda città più popolosa d'Europa. Eppure, Napoli continuava ad essere una fucina di talenti artistici, una città che ribolliva di creatività e di arte, un centro di scambi e di influenze artistiche di primo livello che metteva in comunicazione il Mediterraneo con il resto d'Europa. Il Forum Universale delle Culture insieme con il Teatro dell'Osso, con la direzione artistica di Mirko Di Martino, propone quattro giorni di spettacoli, reading e concerti dedicati alla Napoli del Seicento e ai grandi artisti che la abitavano: Caravaggio, Artemisia e Carlo Gesualdo. L'antica città partenopea rivive attraverso il racconto delle grandi opere e delle vite di questi geni turbolenti e “maledetti” che, nella prima metà del Seicento, fecero di Napoli la capitale della cultura europea.
Artemisia resta, ancora oggi, una figura molto misteriosa, su cui si sa relativamente poco. Quello che essa fu davvero lo si può ricostruire in parte dalla lettere riemerse di recente, dalle quali viene fuori l'immagine di una donna sicura del proprio ruolo, una pittrice consapevole della propria arte, una commerciante che vende e promuove la propria opera con sfacciata sicurezza. Ne vengono fuori, però, anche le sue debolezze, il suo desiderio di un amore vissuto intensamente, la sua gelosia e le sue paure. A Napoli si conserva il dipinto più famoso di Artemisia, quel "Giuditta e Oloferne" che faceva impallidire i suoi contemporanei per la crudezza della rappresentazione; a Napoli, Artemisia visse trent'anni e morì in un giorno imprecisato del 1653. Ma quali tracce ha lasciato Artemisia a Napoli, oggi? Molto poche. Il nostro spettacolo parte da qui, da Napoli, dove Artemisia si è rifugiata molti anni prima: la pittrice è alla fine della sua carriera, stanca, disillusa. Senza alcuna spiegazione apparente, Artemisia viene costretta da un magistrato a raccontare ancora una volta i particolari di quel giorno del 1612 quando il pittore Agostino Tassi, amico e collega di Orazio Gentileschi, la violentò nella sua casa romana. La donna credeva di aver chiuso i conti con quella storia al termine del processo che condannò Agostino Tassi per stupro, ma scopre adesso che tutta la sua vita e la sua stessa opera ne sono state segnate troppo in profondità . Artemisia è obbligata a confrontarsi con le sue paure, i suoi dubbi, i suoi desideri di gloria, di affermazione di sè come artista prima che come donna. In un mondo dominato dai maschi, Artemisia scopre che le è preclusa ogni libertà e autonomia. Perfino la sua arte viene interpretata come un continuo ritorno sul tema della violenza e della vendetta, dello stupro e della castrazione. Artemisia credeva di essere diventata libera grazie all'arte, adesso scopre che era la sua prigione.
Artemisia Gentileschi
directed by Mirko Di Martino
with Titti Nuzzolese and Antonio D'Avino
costume designer:Annapaola Brancia d'Apricena
produced by Teatro dell'Osso
photo:Marco D'Alessandro Photo49
Nel diciassettesimo secolo c'era un detto che circolava sulla bocca dei numerosi viaggiatori stranieri che visitavano Napoli: secondo costoro, la città era “un Paradiso abitato da diavoli”. I turisti stranieri erano affascinati dalla bellezza di Napoli e, allo stesso tempo, atterriti dalla violenza della vita che si conduceva in quella che, all'epoca, era la seconda città più popolosa d'Europa. Eppure, Napoli continuava ad essere una fucina di talenti artistici, una città che ribolliva di creatività e di arte, un centro di scambi e di influenze artistiche di primo livello che metteva in comunicazione il Mediterraneo con il resto d'Europa. Il Forum Universale delle Culture insieme con il Teatro dell'Osso, con la direzione artistica di Mirko Di Martino, propone quattro giorni di spettacoli, reading e concerti dedicati alla Napoli del Seicento e ai grandi artisti che la abitavano: Caravaggio, Artemisia e Carlo Gesualdo. L'antica città partenopea rivive attraverso il racconto delle grandi opere e delle vite di questi geni turbolenti e “maledetti” che, nella prima metà del Seicento, fecero di Napoli la capitale della cultura europea.
Artemisia resta, ancora oggi, una figura molto misteriosa, su cui si sa relativamente poco. Quello che essa fu davvero lo si può ricostruire in parte dalla lettere riemerse di recente, dalle quali viene fuori l'immagine di una donna sicura del proprio ruolo, una pittrice consapevole della propria arte, una commerciante che vende e promuove la propria opera con sfacciata sicurezza. Ne vengono fuori, però, anche le sue debolezze, il suo desiderio di un amore vissuto intensamente, la sua gelosia e le sue paure. A Napoli si conserva il dipinto più famoso di Artemisia, quel "Giuditta e Oloferne" che faceva impallidire i suoi contemporanei per la crudezza della rappresentazione; a Napoli, Artemisia visse trent'anni e morì in un giorno imprecisato del 1653. Ma quali tracce ha lasciato Artemisia a Napoli, oggi? Molto poche. Il nostro spettacolo parte da qui, da Napoli, dove Artemisia si è rifugiata molti anni prima: la pittrice è alla fine della sua carriera, stanca, disillusa. Senza alcuna spiegazione apparente, Artemisia viene costretta da un magistrato a raccontare ancora una volta i particolari di quel giorno del 1612 quando il pittore Agostino Tassi, amico e collega di Orazio Gentileschi, la violentò nella sua casa romana. La donna credeva di aver chiuso i conti con quella storia al termine del processo che condannò Agostino Tassi per stupro, ma scopre adesso che tutta la sua vita e la sua stessa opera ne sono state segnate troppo in profondità . Artemisia è obbligata a confrontarsi con le sue paure, i suoi dubbi, i suoi desideri di gloria, di affermazione di sè come artista prima che come donna. In un mondo dominato dai maschi, Artemisia scopre che le è preclusa ogni libertà e autonomia. Perfino la sua arte viene interpretata come un continuo ritorno sul tema della violenza e della vendetta, dello stupro e della castrazione. Artemisia credeva di essere diventata libera grazie all'arte, adesso scopre che era la sua prigione.
Fitting |
Judith beheading Holofernes Museo di Capodimonte-Napoli |
Friday, October 24, 2014
FASHION PHOTOGRAPHERS: LARTIGUE
Jacques-Henri Lartigue (1894-1986) was born at Courbevoie, France, and he grew up in Paris.
His father, a businessman and passionate amateur photographer, gave him his first camera at the age of seven and started keeping what would become a lifelong diary. In 1904 he began making photographs and drawings of family games and childhood experiences, also capturing the beginnings of aviation and cars and the smart women of the Bois de Boulogne as well as society and sporting events. In 1932, attracted by the cinema, Jacques-Henri Lartigue acted as assistant director on the film ‘Le Roi Pausole’ for which he also took the official photographs. His passion for movies saw him work as still photographer with Jacques Feyder, Abel Gance, Robert Bresson, François Truffaut and Federico Fellini. Jacques-Henri Lartigue became well known as an illustrator and designer during the years 1935-1950. Mr. Lartigue first became known to the American public through an exhibition of photographs organized by John Szarkowski in 1963 at the Museum of Modern Art, New York who saw Jacques-Henri Lartigue as “the precursor of all that is lively and interesting in the middle of the 20th century.”Worldwide fame came three years later with his first book, The Family Album, followed in 1970, by Diary of a Century, conceived by Richard Avedon. In 1975 he had his first French retrospective at the Musée des Arts Décoratifs in Paris. For the rest of his life, Lartigue was busy answering commissions from fashion and decoration magazines.
His father, a businessman and passionate amateur photographer, gave him his first camera at the age of seven and started keeping what would become a lifelong diary. In 1904 he began making photographs and drawings of family games and childhood experiences, also capturing the beginnings of aviation and cars and the smart women of the Bois de Boulogne as well as society and sporting events. In 1932, attracted by the cinema, Jacques-Henri Lartigue acted as assistant director on the film ‘Le Roi Pausole’ for which he also took the official photographs. His passion for movies saw him work as still photographer with Jacques Feyder, Abel Gance, Robert Bresson, François Truffaut and Federico Fellini. Jacques-Henri Lartigue became well known as an illustrator and designer during the years 1935-1950. Mr. Lartigue first became known to the American public through an exhibition of photographs organized by John Szarkowski in 1963 at the Museum of Modern Art, New York who saw Jacques-Henri Lartigue as “the precursor of all that is lively and interesting in the middle of the 20th century.”Worldwide fame came three years later with his first book, The Family Album, followed in 1970, by Diary of a Century, conceived by Richard Avedon. In 1975 he had his first French retrospective at the Musée des Arts Décoratifs in Paris. For the rest of his life, Lartigue was busy answering commissions from fashion and decoration magazines.
Florette-Paris 1944 |
Florette-Paris 1943 |
Bibi- Cannes 1923 |
Renèe - Paris 1931 |
Zissou-1911 |
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